A distanza di 6 anni scrivo del primo
evento che ha sconvolto totalmente la mia vita: il parto della mia primogenita
Gemma. Proprio ieri parlando con una mia amica, ho ricordato questo evento
importantissimo al quale è legato tutto l'avvenire di ogni individuo: l'istante
in cui si viene al mondo.
Ricordo che Gemma non voleva nascere, la
quarantesima settimana era ormai superata da giorni e come per legge, qui a
Treviso, viene previsto il ricovero al raggiungimento del decimo giorno
superate appunto le 40 settimane. Era il periodo di Natale e la sua nascita era
prevista per il 5 Gennaio.
Le feste erano ancora più belle con la mia
bambina in grembo e si sperava che nascesse anche prima, poiché i suoi
movimenti in pancia erano decisamente pressanti; a volte vedevo una
protuberanza in rilievo nel mio grembo che andava da un punto all'altro. Spesso
chiamavo mio marito chiedendogli di parlare alla piccolina per farla stare
buona, a me non dava ascolto (già da li dovevo capire cosa mi aspettava).
Il mio pancione era sempre più basso e i
miei genitori si organizzavano a partire dalla Sicilia per non perdersi il
grande evento. Abbiamo festeggiato insieme il capodanno e poi, la data prevista
per il parto è arrivata senza novità. I giorni successivi sono stati intensi e
ogni attimo era infinito. Ogni giorno che passava sembrava essere della durata
di un mese. Al mattino, ad ogni risveglio, mio padre mi aspettava impaziente e
mi chiedeva: " ancora nulla?" ... "no, nulla" rispondevo
io.
Mi sentivo in colpa, anzi, mi facevano
sentire in colpa. Le telefonate di amici e parenti... a volte mi mancava il
respiro, a volte volevo urlare a tutti che la mia bambina non aveva deciso
ancora, gli volevo urlare di lasciarmi tranquilla. Ed ecco giunto il giorno del
ricovero forzato. Di buon mattino, con il mio borsone pieno di tanta ingenuità,
parto, accompagnata da Luca, in direzione dell’ospedale.
Il ricordo di quei momenti mi accompagna
ancora come fossero accaduti poco fa.
Era il 15 Gennaio, fuori un freddo
tagliente. Mi viene subito applicato un primo gel per stimolare il parto e mi
ritrovo a camminare su e giù per i corridoi dell'ospedale per favorire l'inizio
del travaglio, ma senza risultato. Al secondo gel mi viene anche fatta una
manovra invasiva: spostano il mio utero nella posizione anteriore: un dolore
per niente indifferente, ma nulla in confronto a quello che mi aspetta: le
prime contrazioni stanno già partendo.
Nel frattempo, arriva anche mio marito,
preallertato dall’infermiera, ben coperto per il freddo di fuori e naturalmente
impreparato a quello che sta per avvenire.
Lo specchio in cui mi guardo, ormai
riflette l’immagine di una donna alle prese con un travaglio e che si prepara a
mettere al mondo una vita, la ragazza che mi sono abituata a veder riflessa
ormai non c’era più. Evidentemente qualcosa è scattato dentro di me.
Le doglie diventano sempre più forti, concentrate tutte sulla parte bassa della
schiena e si ripetono a breve distanza. Per cercare di “domarle” metto in atto
una tecnica imparata al corso yoga pre-parto: canto utilizzando le vocali e fra
una contrazione e l'altra cado in un sonno profondo che dura qualche minuto.
In questo tempo di tregua Luca parla alla
bambina in grembo, gli racconta del mondo che troverà fuori, descrivendo il
sole, gli alberi, il mare... gli racconta di noi che la stiamo aspettando con
tanto amore e delle cose che faremo insieme. Lo fa senza perdere di vista il
monitor, quando vede arrivare una nuova contrazione, capisce che deve
collaborare ad alleviarmi il dolore, premendo forte sulla mia schiena. Non
riesco più a controllare il dolore.
Successivamente ho letto in una rivista
specializzata che, nel parto indotto, l'utero si apre in maniera involontaria,
inviando un messaggio di dolore sconosciuto al cervello che, non riuscendo a
gestirlo, lo rifiuta rimandandolo indietro e di fatto non attuando le difese
per alleviarlo. È proprio in questo momento che la donna in travaglio è capace
di fare di tutto; nel mio caso ho afferrato mio marito e guardandolo negli
occhi gli ho urlato: "COL CAVOLO CHE TI FACCIO IL SECONDO FIGLIO!"
Dalle 15.15 il mio travaglio prosegue fino
alle 20.00, in una sala parto silenziosa (a parte le mie vocalizzazioni...),
con le luci soffuse e con una ostetrica discreta che arriva di tanto in tanto a
controllare la situazione. Adesso sento che è giunta l'ora di spingere... la
mia bambina vuole uscire ma non ci riesce. Anche questa fase è molto intensa.
Gemma viene al mondo alle 20.45 ed è piena
di vernice caseosa. "Questa bambina voleva ancora stare..." è il
primo commento dell’ostetrica. Caspita, è come mi avessero dato una pugnalata.
Ancora oggi mi chiedo perché venga fatta
questa violenza. Si, il parto indotto è una violenza sia nel confronti della
madre che, come nel mio caso, ha dovuto subire dolori atroci, incontrollabili, episiotomia, lacerazioni
ovunque, raschiamento dopo il parto e più di un mese di incontinenza
post-partum; ancora oggi patisco delle conseguenze.
È uno shock anche per il bambino, che non
ha deciso lui di nascere in quel momento. La mia piccola Gemma presenta dei
cambiamenti repentini di carattere, come se avesse subito una violenza; ancora
oggi trova difficoltà ad affrontare i cambiamenti, come se non fosse ancora
pronta, anche in piccoli gesti, come mettersi i calzini, o anche le magliette.
Le danno fastidio e tira ripetutamente a se il calzino come se cercasse un modo
per farlo passare... mi viene difficile da spiegare.
Un osteopata ha trovato che nella sua
testolina tutto è pressato e fuori posto; mi spiegava che nel parto indotto, l'apertura
dell'utero in maniera invasiva lascia la muscolatura rigida, poco elastica, e
la conseguenza è proprio questa.
In questo momento ho come un nodo in gola,
un forte desiderio di voler cambiare le cose, di avere la possibilità di
tornare indietro nel tempo ed oppormi al parto indotto. Se il bambino sta bene,
che decida lui quando nascere, non deve essere vittima della legge che gli
impone il suo destino, non è giusto...
Che possa questa mia testimonianza far
aprire gli occhi a chi si trova prossimo al parto, che gli possa dare la forza
di opporsi, dire di no! Non fate il mio stesso sbaglio, le conseguenze si
ripercuoteranno per tutta la vita di una madre e di un figlio.
In data 27 Giugno 2015 aggiungo:
Qualche giorno ho avuto occasione di partecipare a un importante conferenza sugli interventi durante il parto. E' davvero indifferente il modo in cui nasciamo?
Ecco cosa dice a riguardo del parto indotto, Dominique Degranges docente di fama internazionale, relatore della conferenza:
"Nel parto indotto si creano disaggi ben precisi.
L'aiuto che si riceve per
provocare l'inizio del travaglio e quindi la nascita, creerà al bambino l'esigenza di essere sempre aiutato nella vita, non
lo renderà capace di affrontare le decisioni e i cambiamenti poiché non era pronto
probabilmente a nascere.
Una nascita aiutata ed indotta
non permette di contrastare l'ostacolo che sarebbe stato utile a risvegliare i
suoi impulsi di combattività.
Inoltre nel parto indotto, il dolore va oltremisura
poiché l'apertura in maniera involontaria dell'utero, invierà un informazione
del dolore al cervello che non verrà riconosciuta e quindi sarà rispedita nella
zona lombare non permettendo il controllo del cervello. Questa sofferenza sarà
ad oltremisura avvertita anche dal bambino con la conseguenza di avere una
posizione di autodifesa nella vita che lo indurrà a far del male agli altri o a
se stesso.
Man mano questo atteggiamento lo porterà a spegnersi poiché sarà
allontanato dagli altri e quindi escluso dalla società.
Questo lo poterà ad evitare le cose
che lo fanno soffrire, il non affrontare gli ostacoli significa non riuscire di conseguenza a trasformarli."
Ho trovato in questa conferenza le conferme di ciò che ho sempre pensato ed è necessario che intervengo in qualche modo per il bene di mia figlia.
"Le primissime esperienze della vita
lasciano impronte nell'essere umano
in formazione ed hanno una forte influenza
sul suo modo di essere al mondo,
di comunicare e di costruire relazioni."
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